LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanaza nei confronti di Giua Pietro Paolo, nato il 17 ottobre 1934 a Sassari, domiciliato in Fiumicino (Roma), via Monte Cadria n. 7, imputato del reato di cui all'art. 9-octies, u.c., legge n. 475/88, per non aver ottemperato all'obbligatoria tenuta dei registri di carico e scarico, e comunque alla loro compilazione, circa la produzione di oli minerali esausti di cui all'art. 8, p. 1 del d. lgs. 95/92, in quantita' superiore a 300 litri annui presso l'esercizio di rimessaggio natanti sito in via Monte Cadria, 77. Accertato in Fiumicino il 24 aprile 1996. Visto l'appello del p.m. avverso la sentenza del g.u.p. presso la pretura circondariale di Roma, che, in data 16 aprile 1997, non ha accolto la richiesta di emissione del decreto penale, perche' la condotta contestata non e' piu' prevista dalla legge come reato; Udite all'udienza in camera di consiglio del 3 dicembre 1998, le conclusioni del p.g., che ha richiesto la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Ritenuto Giua Pietro Paolo e' stato imputato del reato di cui all'art. 9-octies, legge n. 475/1988, per la violazione dell'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico relativi alla produzione di oli minerali esausti. Senonche', il pretore di Roma, sulla richiesta di emissione di decreto di condanna da parte del p.m., ha dichiarato che il fatto non e' piu' preveduto come reato, essendo ormai punibile con la sola sanzione amministrativa, per le disposizioni dell'art. 56 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che ha abrogato tutta la legge n. 475/1988, ad eccezione degli articoli 7, 9 e 9-quinquies. Impugna il p.m. e solleva questione di costituzionalita' della normativa abrogatrice. Analoghe questioni di costituzionalita' dell'art. 52 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, erano state gia' sollevate dal pretore di Pescara, sezione distaccata di S. Valentino in A.C. con ordinanza del 19 marzo e 9 aprile 1997 e dal pretore di Pescara, con ordinanza del 9 ottobre 1997. La Corte costituzionale ha riassunto nell'ordinanza 7-17 luglio 1998, n. 285, nei seguenti termini le questioni sollevate: La sopravvenuta depenalizzazione appare in contrasto con i principi e i criteri direttivi dettati per l'esercizio della delega dall'art. 2, lett. d), della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla comunita' europea - legge comunitaria 1993), sulla cui base e' stato emanato il decreto legislativo n. 22 del 1997, e dunque in contrasto con l'art. 76 della Costituzione; Infatti, in primo luogo, secondo il giudice a quo, la legge delega, prevedendo che fosse fatta "salva l'applicazione delle norme penali vigenti", avrebbe imposto al Governo di mantenere integralmente le fattispecie penali gia' previste come tali nelle materie oggetto della delega; Comunque, sempre secondo il remittente, la previsione, nella legge di delega, di sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti "per violazioni che siano omogenee e di pari offensivita'", la prescrizione del "mantenimento dei livelli di protezione ambientale previsti dalla normativa nazionale ove piu' rigorosi di quelli derivanti dalla normativa comunitaria" (art. 36, lettere b) e c), della legge n. 146 del 1994), e l'indicazione secondo cui andavano previste sanzioni penali nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689, fra i quali dovrebbero annoverarsi gli interessi di tutela ambientale protetti dalla disciplina dei rifiuti, avrebbero precluso la depenalizzazione delle fattispecie considerate; ad avviso del giudice a quo, non si potrebbe giustificare la scelta del legislatore delegato in base al carattere formale degli inadempimenti sanzionati, poiche' la tutela dell'interesse protetto si baserebbe sulle verifiche e sui controlli preventivi e successivi circa le modalita' di gestione dei rifiuti; e del resto lo stesso legislatore delegato avrebbe mostrato di non attribuire in via generale una rilevanza solo formale alle violazioni in questione, sia prevedndo sanzioni amministrative attenuate per casi di incompletezza o inesattezza meramente formali dei registri di carico e scarico sia tenendo conto, nella disciplina degli obblighi di comunicazione e di tenuta dei registri, delle dimensioni dell'attivita', con esoneri e semplificazioni per i casi di minore rilevanza; Inoltre, secondo il remittente, l'obbligo di comunicazione costituirebbe la necessaria premessa per l'accertamento delle fattispecie tuttora penalmente sanzionate, anche tenendo conto della finalita' fondamentale dello stesso decreto legislativo di assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci; che pertanto la depenalizzazione delle violazioni in esame sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza; darebbe luogo a disparita' di trattamento sanzionatorio rispetto al caso di violazione, penalmente sanzionata, degli obblighi di iscrizione e di comunicazione previsti, per talune attivita', dagli artt. 30, 31, 32 e 33 dello stesso d.lgs. n. 22 del 1997; e contrasterebbe, nei suoi riflessi concreti, con l'effettiva tutela dei diritti fondamentali alla salute e all'ambiente". Tanto premesso la stessa Corte costituzionale ha ordinato la restituzione degli atti ai pretori che avevano sollevato la questione di costituzionalita', rilevando: che, successivamente all'emissione delle ordinanze di rimessione, le disposizioni impugnate, contenute nell'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, sono state novellate dall'art. 7, commi 12 e 13, del d.lgs. 8 novembre 1997, n. 389, che ne ha modificato il contenuto, in particolare prevedendo sanzioni amministrative attenuate per determinate ipotesi; Che spetta ai giudici remittenti valutare la rilevanza, ai fini dei rispettivi giudizi, dello ius superveniens rappresentato dalle citate disposizioni del d.lgs. n. 389 del 1997. Ritiene questa Corte di appello che la recente modifica dell'art. 52 decreto legislativo n. 22 del 1997, introdotta dall'art. 7, commi 12 e 13 del d.lgs. 8 novembre 1997, n. 389, non abbia spostato i termini della questione di costituzionalita', per il fatto concreto che qui interessa - consumato nell'aprile 96. A parte la considerazione che il decreto legislativo n. 389/1997 ha operato solamente qualche riduzione delle sanzioni amministrative per ipotesi particolari, va osservato che la sanzione penale potrebbe colpire il fatto storico imputato al Giua Pietro Paolo (costituente reato - si sottolinea - al momento della sua consumazione) solamente in forza di dichiarazione di incostituzionalita' della successiva abolitio criminis, per ragioni sostanziali o formali. Ad avviso di questa Corte di appello, non appare manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 22 del 5 febbario 1997 (come modificato dal d.lgs. 8 novembre 1997, n. 389), per contrasto con gli articoli 76, 77, 10 e 11 della Carta costituzionale italiana, secondo le osservazioni avanzate dall'appellante che qui si riportano, per la parte condivisa da questa Corte. 1. - I principi della legge delega per la scelta delle sanzioni. Il d.lgs. in esame e' stato emanato dal Governo come legge delegata (per l'attuazione di direttive comunitarie), e, pertanto, non puo' contenere norme in contrasto con i principi dettati dal Parlamento, cosi' come sancito dagli articoli 76 e 77 della Costituzione. In questo quadro, e' doveroso verificare preliminarmente la conformita' delle sanzioni amministrative citate rispetto al dettami della legge delega e cioe' della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (legge comunitaria 1993), il cui art. 1 conferisce al Governo la delega per l'attuazione di numerose direttive, tra cui la n. 91/156 (CEE e 91/689 CEE, relative, appunto, ai rifiuti. L'art. 2, lett. d) di questa legge stabilisce, infatti, che "salva l'applicazione delle norme penali vigenti, ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, saranno previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a lire duecento milioni e dell'arresto fino a tre anni, saranno previste in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi saranno previste: la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che recano un danno di particolare gravita'. La sanzione amministrativa del pagamento di un somma non inferiore a lire cinquantamila e non superiore a lire duecento milioni sara' prevista per le infrazioni che ledano o espongano a pericolo interessi diversi da quelli suindicati. Nell'ambito dei limiti minimi e massimi previsti, le sanzioni suindicate saranno determinate nella loro entita' tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di provenienza, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole o alla persona o ente nel cui interesse egli agisce. In ogni caso, in deroga ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per violazioni che siano omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni medesime". Vale la pena, a questo punto, di rilevare subito che, quindi, la legge delega, delineando il quadro delle sanzioni (amministrative e contravvenzionali) da irrogare per garantire il rispetto delle prescrizioni comunitarie, mentre privilegia, di regola, le sanzioni amministrative, indica espressamente, come eccezione, il settore della tutela dell'ambiente. Infatti, essa, come si e' detto, prevede espressamente sanzioni solo penali nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dall'art. 34, legge n. 689 del 1981, fra i quali rientra certamente l'interesse alla tutela dell'ambiente. Basta leggere, infatti, il citato art. 34 (lett. g ed h) per verificare che esso esclude dalla depenalizzazione, tra l'altro, le violazioni (tutte, incluse quelle c.d. "formali") della legge Merli e quelle (tutte, incluse quelle c.d. "formali") della legge antismog (non sono menzionate le leggi sui rifiuti perche' nel 1981 non ne esistevano): segno evidente che la tutela dell'ambiente e' un interesse generale dell'ordinamento interno, il quale, secondo il legislatore, non puo' essere presidiato solo con sanzioni amministrative. Se, alla luce di queste considerazioni, si rilegge il quadro sanzionatorio che emerge dal decreto, appare subito evidente che non si e' sempre tenuto conto dei principi delineati dalla legge delega. Cio' e' particolarmente evidente nell'art. 52 che, come si e' detto, commina sanzioni solo amministrative per la violazione degli obblighi di comunicazione annuale e di tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti, anche se pericolosi. Trattasi, infatti, in primo luogo, di violazioni di norme tese a tutelare l'ambiente e cioe' quell'interesse generale che la legge delega ritiene debba essere presidiato con sanzioni penali e non amministrative. Peraltro, la formulazione stessa del citato art. 2, lett. d), con la focalizzazione sugli "interessi generali", quali quello alla tutela dell'ambiente (contrapposti, come eccezione, a tutti gli altri), e con il richiamo proprio alle norme escluse - in blocco e senza distinzione, in quanto relative all'interesse alla tutela ambientale - dalla depenalizzazione nel 1981, sembra voler escludere, comunque, qualsiasi possibilita' di irrogazione di sanzioni amministrative nel recepimento delle prescrizioni che garantiscono la tutela dell'ambiente, quali sono quelle in esame. Anzi, se si vuole restare al dato letterale, la sanzione amministrativa e' prevista solo per "le infrazioni che ledano o espongono a pericolo interessi diversi" da quello della tutela dell'ambiente; per cui, nel caso in esame, la scelta di sanzione amministrativa sarebbe consentita solo se si ritenesse che le violazioni relative all'obbligo di comunicazione annuale e tenuta di registro di carico e scarico dei rifiuti "ledano o espongano a pericolo" interessi diversi da quello della tutela dell'ambiente. In questo quadro, quindi, la direzione - "infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto" - non sembra assumere alcun significato particolare o limitativo, essendo, oltre tutto pacifico che, pur senza voler addentrarsi in dissertazioni sulla struttura del reato e sul bene giuridico, la violazione delle prescrizioni tese alla tutela dell'ambiente dai rifiuti comporta sempre, direttamente o indirettamente, una lesione o una messa in pericolo del bene protetto (tanto piu' nel caso concreto di un esercizio di cantiere e rimessaggio nautico che produce grandi quantitativi di olio minerale esausto). E' tuttavia, altrettanto evidente che il legislatore (delegato) del d.lgs. n. 22 ha voluto intendere invece questa indicazione non in senso cosi' rigido e generalizzato, ed ha preferito, di regola, interpretarla nel senso di riservare le sanzioni penali solo alle violazioni che riteneva comunque "piu' gravi" e pericolose per l'ambiente; e, nel compiere questa valutazione, ha considerato un complesso di vari elementi, fra cui spiccano, oltre alla pericolosita' "diretta" della condotta, altri elementi, quali, ad esempio, la natura dell'attivita' svolta ed il tipo di rifiuti prodotti. Tanto e' vero che, ad esempio, l'abbandono o il deposito incontrollato di rifiuti - violazione che non e' certamente una violazione formale ma una "aggressione diretta" - viene punito con sanzione amministrativa ai sensi degli articoli 14 e 50, comma 1, se commesso da privato, e con sanzione penale solo se commesso da titolare di impresa o ente (art. 51, comma 2). Mentre tutte le violazioni, certamente "formali", connesse con l'inosservanza delle procedure (anche semplificate) per autorizzazione o iscrizione da parte delle imprese che compiono attivita' di gestione dei rifiuti, sono sempre penalmente sanzionate dall'art. 51, commi 1 e 2 (anzi, "se si tratta di rifiuti pericolosi", addirittura con la pena congiunta che la legge delega riserva alle "infrazioni che recano un danno di particolare gravita'"). Cosi' come, nel caso, del tutto omogeneo a quello in esame, di violazioni relative al formulario di trasporto di rifiuti - e, quindi, come quelle attinenti al registro di carico e scarico ed alla comunicazione annuale, certamente non direttamente aggressive del bene protetto, l'art. 52, comma 3 del d.lgs. n. 22 prevede sanzioni amministrative, se il trasporto riguarda rifiuti pericolosi, fa espressamente eccezione e richiama - diversamente da quanto avviene per i registri di carico e scarico - addirittura le pene del delitto di cui all'art. 483 c.p. Peraltro, sembra determinante notare che l'art. 52, comma 4, si preoccupa di prevedere una autonoma (e piu' blanda) sanzione amministrativa nel caso che le violazioni agli obblighi relativi sia ai registri di carico e scarico sia ai formulari per il trasporto, anche se relative a rifiuti pericolosi, siano solo formali (art. 52, comma 4: "se le indicazioni di cui ai commi 2 e 3 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengano tutti gli elementi indispensabili per ricostruire le informazioni dovute per legge..."). Il che porta a ritenere che l'art. 52, commi 2 e 3, rispettivamente con riferimento agli obblighi del registro di carico e scarico e del formulario per il trasporto, indichi la sanzione per le altre violazioni, ritenute, evidentemente, non meramente formali, e piu' gravi. Tanto piu' che contemporaneamente, nella stessa ottica, il legislatore esonera totalmente dagli obblighi della comunicazione annuale e dei registri di carico e scarico, limitatamente alla produzione di rifiuti non pericolosi, i piccoli imprenditori artigiani che non hanno piu' di tre dipendenti (art. 11, comma ''), ritenendo, con ogni evidenza, che si tratta di modeste attivita' le quali, qualora non producano rifiuti pericolosi, non costituiscono un apprezzabile pericolo per l'interesse tutelato. In questo quadro, allora, se anche si vuole usare lo stesso metro del legislatore delegato, appare del tutto incomprensibile la previsione di sanzioni solo amministrative (anche se piu' pesanti se vi sono rifiuti pericolosi) per tutte le violazioni relative alla comunicazione annuale ed al registro di carico e scarico (che non rientrino, ovviamente, nell'ambito dell'art. 52, comma 4), escludendo - a differenza di quanto avviene per il formulario di trasporto - qualsiasi sanzione penale. Resta da sottolineare - e non sembra irrilevante sotto il profilo sostanziale - che le violazioni in esame comprendono anche la falsita' delle registrazioni del registro di carico e scarico e cioe' quelle violazioni che molto spesso, come insegna l'esperienza degli ultimi 15 anni, sono i primi elementi da cui iniziare le indagini per reprimere la ecomafia dei rifiuti, da cui derivano, in concreto e direttamente, danni incalcolabili all'ambiente e alla salute pubblica. In altri termini, gli obblighi relativi alla comunicazione annuale ed al registro di carico e scarico sono certamente, sotto il profilo sostanziale, obblighi il cui rispetto e' indispensabile per tenere sotto controllo tutto il settore della produzione e dello smaltimento dei rifiuti, troppo spesso in mano alla criminalita' organizzata: chiunque abbia fatto indagini in questo settore sa perfettamente che il primo controllo riguarda la veridicita' e la completezza di quanto dichiarato nelle comunicazioni annuali, nei registri e nei formulari di trasporto. Depenalizzare questi obblighi, pertanto, equivale ad escludere, di norma, la competenza della polizia giudiziaria, e quindi, in sostanza, a depotenziare la possibilita' (gia' minima) di effettuare questi controlli (adesso, peraltro, affidati, ai sensi dell'art. 20, comma 1, lettera c) e 55, comma 1, d.lgs n. 22, alle province, senza fornir loro alcun potenziamento di uomini e mezzi, gia' oggi largamente insufficienti), esponendo concretamente a pericolo l'interesse generale alla tutela dell'ambiente. Il che, del resto, risulta chiarissimo da altre disposizioni dello stesso decreto legislativo che considerano giustamente fondamentali i controlli sulla "vita" dei rifiuti, ("dalla culla alla tomba", come prescrive l'Unione europea), onde non mettere in pericolo il diritto all'ambiente. Basta ricordare che, in perfetta sintonia rispetto alle direttive comunitarie, il d.lgs. n. 22 dispone che occorre "assicurare una elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificita' dei rifiuti pericolosi" (art. 2); ed aggiunge, ancora piu' significativamente, che le Province "sottopongono ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, i controlli sulle attivita' sottoposte alle procedure semplificate... e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardano, in primo luogo, l'origine e la destinazione dei rifiuti" (art. 20, comma 6). Controlli che, come gia' si e' osservato, si basano, appunto sugli strumenti della comunicazione annuale, del registro di carico e scarico e del formulario per il trasporto. 2. - I principi delle legge delega per la omogeneita' delle sanzioni. In secondo luogo, la legge delega aggiunge a questo principio generale due riserve di notevole importanza. Da un lato fa "salva l'applicazione delle norme penali vigenti", e dall'altro impone, anche "in deroga ai limiti sopra indicati", di "prevedere sanzioni penali o amministrative identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti per violazioni che siano omogenee e di pari offensivita' rispetto alle infrazioni medesime". Per cui, in questi casi, a meno di non voler ridurre, sulla base di una argomentazione solo letterale ("in deroga ai limiti..."), ed in contrasto con l'evidentissimo tenore logico complessivo della norma, questo principio al solo computo delle pene svincolato dalla natura delle pene stesse (criterio che, ovviamente, precede la misura delle sanzioni), si impone l'obbligo di preferire sanzioni anche diverse, come natura e come limiti, da quelle previste nella legge delega. A proposito di questo secondo criterio, deve rilevarsi che, in assenza di una legge quadro sull'ambiente, si e' determinato, negli ultimi anni, un orientamento non omogeneo del legislatore proprio nella previsione di sanzioni in questo settore, tanto che e' stato piu' volte invocato e si e' reso talvolta necessario l'intervento della Corte costituzionale. Di certo, l'esempio piu' evidente di rottura con il passato e' costituito dalla recente legge n. 172 del 1995, di modifica della legge Merli, in cui una parte delle "vecchie" sanzioni e' stata depenalizzata proprio in un settore - l'inquinamento delle acque - che si puo' certamente definire "omogeneo" a quello in esame. E allora giova ricordare che questa legge si ispira, comunque, al principio di mantenere le sanzioni penali (contravvenzionali) per le violazioni (anche quelle c.d. "formali") commesse nell'esercizio di attivita' produttive, ritenute, evidentemente, le piu' pericolose per l'ambiente. E cio' e' avvenuto con riferimento a tutte le violazioni collegate all'esercizio di attivita' produttive, anche se meramente "formali", quali la violazione dell'obbligo di presentare la domanda di autorizzazione allo scarico (cui puo' conseguire autorizzazione tacita se si tratta di scarichi esistenti), tuttora penalmente sanzionata con arresto o ammenda dall'art. 21 della legge Merli modificata. E pertanto, anche in virtu' del principio di omogeneita' tra sanzioni imposto dalla legge delega per le violazioni in esame, certamente relative ad attivita' produttive, si sarebbe dovuto prevedere sanzione penale di tipo contravvenzionale con pena alternativa. Si deve, infine, rilevare che anche nella determinazione delle sanzioni e' necessario, come prescrive la legge delega (art. 36, lett. b), garantire il "mantenimento dei livelli di protezione ambientale previsti dalla normativa nazionale...", dato che certamente il sistema sanzionatorio contribuisce al mantenimento di questi livelli. Il che deve portare alla conseguenza di considerare con la massima cautela ogni ammorbidimento del sistema sanzionatorio fino ad oggi in vigore in questa materia, caratterizzato certamente dalla assoluta prevalenza di sanzioni penali. 3. - Il contrasto con la normativa comunitaria. Devesi, infine, rilevare che la scelta della sanzione penale per le violazioni sembra da privilegiare anche per rispetto degli obblighi assunti dal nostro paese verso la Unione europea. Infatti, proprio recentemente e proprio in relazione alle sanzioni previste dalla normativa italiana sui rifiuti, la Corte europea di giustizia ha ricordato che "gli Stati membri sono tenuti, nell'ambito della liberta' che viene loro lasciata dall'art. 189, terzo comma, del Trattato, a scegliere le forme e i mezzi piu' idonei al fine di garantire l'efficacia pratica delle direttive"; ed ha previsato che "l'art. 5 del Trattato impone agli Stati membri di adottare tutte le misure atte a garantire la portata e l'efficacia del diritto comunitario. A tal fine, ..., essi devono vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno, simili per natura ed importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettivita', di proporzionalita' e di capacita' dissuasiva..." (Corte di giustizia, sez. I, 12 settembre 1996, Gallotti ed altri). Ne consegue che, alla stregua delle considerazioni gia' svolte, aver previsto solo sanzioni amministrative per la violazione dell'obbligo comunitario del registro di carico e scarico dei rifiuti, anche se pericolosi (imposto dall'art. 14, dir. 91/156 e dall'art. 4, dir. 91/689), puo' far ritenere che il nostro paese sia venuto meno agli obblighi che derivano all'Italia dalla partecipazione alla Unione europea, con violazione degli articoli 10 e 11 della Costituzione. Un cenno, infine, merita la problematica connessa con la giurisprudenza costituzionale relativa alla impossibilita' di richiedere alla Corte una pronuncia additiva. A questo proposito, si osserva in primo luogo che questa giurisprudenza si riferisce ad eccezioni dove il giudice a quo chiedeva di censurare la scelta del legislatore per sanzioni amministrative, invocando il contrasto con il principio ed eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione; il che e' stato inteso dalla Corte come una richiesta alla Corte stessa di imporre sanzioni penali, sostituendosi al legislatore. Nel caso in esame la situazione e' esattamente opposta: con riferimento agli articoli 76 e 77, si chiede, cioe', alla Corte di esaminare se l'organo delegato (il governo) ha rispettato la scelta del legislatore, imposta con legge delega, circa la natura delle sanzioni da comminare: non sostituzione al legislatore, quindi, ma applicazione di quanto dallo stesso stabilito. Ed e' appena il caso di aggiungere che, se si ragionasse diversamente, pur prescindendo dal caso in esame, non si potrebbe mai portare all'esame della Corte alcun dubbio relativo alla osservanza di quanto disposto da una legge delega in tema di sanzioni; in contrasto, peraltro, con la stessa giurisprudenza della Corte (cfr. per tutte, tra le prime, la sentenza n. 157 del 7 luglio 1976 ove si e' censurato un "eccesso di delega" proprio con riferimento alla scelta di sanzioni per violazioni relative a regolamenti comunitari)". Alle considerazioni avanzate dal p.m. appellante in ordine a questo ultimo punto, il collegio di appello ritiene di dover aggiungere anche l'osservazione che l'imputazione ascritta a Giua Pietro Paolo, per cui vi e' appello, riguarda un fatto storico consumato il 29 aprile 1996, in epoca nella quale vigeva la sanzione propriamente penale, prevista dall'art. 9-octies u.c., legge 9 settembre 1988, n. 475. Di conseguenza, non sembra che una dichiarazione di illegittimita' costituzionale, nel caso concreto, non sia rilevante o non possa conseguire perche' contraria al principio di irretroattivita' della legge penale, o comunque alle regole contenute nell'art. 2 cod. penale.