LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanaza nei confronti di Giua  Pietro
 Paolo,  nato  il  17 ottobre 1934 a Sassari, domiciliato in Fiumicino
 (Roma), via Monte Cadria n. 7, imputato del  reato  di  cui  all'art.
 9-octies,   u.c.,   legge   n.   475/88,  per  non  aver  ottemperato
 all'obbligatoria tenuta dei registri di carico e scarico, e  comunque
 alla  loro  compilazione, circa la produzione di oli minerali esausti
 di cui all'art. 8, p.  1 del d. lgs. 95/92, in quantita' superiore  a
 300 litri annui presso l'esercizio di rimessaggio natanti sito in via
 Monte Cadria, 77.  Accertato in Fiumicino il 24 aprile 1996.
   Visto  l'appello  del p.m. avverso la sentenza del g.u.p. presso la
 pretura circondariale di Roma, che, in data 16 aprile  1997,  non  ha
 accolto  la  richiesta  di  emissione  del decreto penale, perche' la
 condotta contestata non e' piu' prevista dalla legge come reato;
   Udite all'udienza in camera di consiglio del 3  dicembre  1998,  le
 conclusioni  del p.g., che ha richiesto la rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale.
   Ritenuto Giua Pietro Paolo e'  stato  imputato  del  reato  di  cui
 all'art.  9-octies, legge n. 475/1988, per la violazione dell'obbligo
 della   tenuta  dei  registri  di  carico  e  scarico  relativi  alla
 produzione di oli minerali esausti.
   Senonche', il pretore di Roma,  sulla  richiesta  di  emissione  di
 decreto di condanna da parte del p.m., ha dichiarato che il fatto non
 e'  piu'  preveduto  come  reato,  essendo ormai punibile con la sola
 sanzione amministrativa, per le disposizioni dell'art. 56 del  d.lgs.
 5  febbraio  1997, n. 22, che ha abrogato tutta la legge n. 475/1988,
 ad eccezione degli articoli 7, 9 e 9-quinquies.  Impugna  il  p.m.  e
 solleva questione di costituzionalita' della normativa abrogatrice.
   Analoghe  questioni  di  costituzionalita'  dell'art.  52  d.lgs. 5
 febbraio 1997, n. 22, erano  state  gia'  sollevate  dal  pretore  di
 Pescara, sezione distaccata di S. Valentino in A.C. con ordinanza del
 19  marzo e 9 aprile 1997 e dal pretore di Pescara, con ordinanza del
 9 ottobre 1997.
   La Corte costituzionale ha  riassunto  nell'ordinanza  7-17  luglio
 1998, n. 285, nei seguenti termini le questioni sollevate:
   La sopravvenuta depenalizzazione appare in contrasto con i principi
 e  i criteri direttivi dettati per l'esercizio della delega dall'art.
 2, lett. d), della legge 22 febbraio 1994, n. 146  (Disposizioni  per
 l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
 alla  comunita'  europea - legge comunitaria 1993), sulla cui base e'
 stato emanato il decreto legislativo n. 22  del  1997,  e  dunque  in
 contrasto con l'art. 76 della Costituzione;
   Infatti, in primo luogo, secondo il giudice a quo, la legge delega,
 prevedendo  che  fosse fatta "salva l'applicazione delle norme penali
 vigenti", avrebbe imposto al Governo di  mantenere  integralmente  le
 fattispecie  penali  gia'  previste  come  tali nelle materie oggetto
 della delega;
   Comunque, sempre secondo il remittente, la previsione, nella  legge
 di  delega,  di  sanzioni  penali o amministrative identiche a quelle
 eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti "per violazioni  che
 siano   omogenee   e  di  pari  offensivita'",  la  prescrizione  del
 "mantenimento dei livelli di  protezione  ambientale  previsti  dalla
 normativa  nazionale  ove  piu'  rigorosi  di  quelli derivanti dalla
 normativa comunitaria" (art. 36, lettere b) e c), della legge n.  146
 del  1994),  e  l'indicazione  secondo cui andavano previste sanzioni
 penali nei casi in cui le infrazioni ledano o  espongano  a  pericolo
 interessi  generali  dell'ordinamento  interno  del  tipo  di  quelli
 tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre  1981,  n.  689,
 fra i quali dovrebbero annoverarsi gli interessi di tutela ambientale
 protetti   dalla   disciplina  dei  rifiuti,  avrebbero  precluso  la
 depenalizzazione delle fattispecie considerate; ad avviso del giudice
 a quo,  non  si  potrebbe  giustificare  la  scelta  del  legislatore
 delegato in base al carattere formale degli inadempimenti sanzionati,
 poiche'   la   tutela  dell'interesse  protetto  si  baserebbe  sulle
 verifiche e sui controlli preventivi e successivi circa le  modalita'
 di  gestione  dei rifiuti; e del resto lo stesso legislatore delegato
 avrebbe mostrato di non attribuire in via generale una rilevanza solo
 formale  alle  violazioni  in  questione,  sia   prevedndo   sanzioni
 amministrative  attenuate  per  casi  di  incompletezza o inesattezza
 meramente formali dei registri di carico e scarico sia tenendo conto,
 nella disciplina degli obblighi di  comunicazione  e  di  tenuta  dei
 registri,    delle   dimensioni   dell'attivita',   con   esoneri   e
 semplificazioni per i casi di minore rilevanza;
   Inoltre,  secondo  il  remittente,   l'obbligo   di   comunicazione
 costituirebbe   la   necessaria  premessa  per  l'accertamento  delle
 fattispecie tuttora penalmente sanzionate, anche tenendo conto  della
 finalita' fondamentale dello stesso decreto legislativo di assicurare
 un'elevata   protezione   dell'ambiente  e  controlli  efficaci;  che
 pertanto la depenalizzazione delle violazioni  in  esame  sarebbe  in
 contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza;  darebbe  luogo  a
 disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  rispetto   al   caso   di
 violazione,  penalmente sanzionata, degli obblighi di iscrizione e di
 comunicazione previsti, per talune attivita', dagli artt. 30, 31,  32
 e  33  dello stesso d.lgs. n. 22 del 1997; e contrasterebbe, nei suoi
 riflessi concreti, con l'effettiva tutela  dei  diritti  fondamentali
 alla salute e all'ambiente".
   Tanto  premesso  la  stessa  Corte  costituzionale  ha  ordinato la
 restituzione degli atti ai pretori che avevano sollevato la questione
 di costituzionalita', rilevando: che,  successivamente  all'emissione
 delle  ordinanze  di rimessione, le disposizioni impugnate, contenute
 nell'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo n.  22  del  1997,
 sono  state  novellate  dall'art.  7,  commi  12  e  13, del d.lgs. 8
 novembre  1997,  n.  389,  che  ne  ha  modificato  il  contenuto, in
 particolare  prevedendo   sanzioni   amministrative   attenuate   per
 determinate ipotesi;
   Che spetta ai giudici remittenti valutare la rilevanza, ai fini dei
 rispettivi giudizi, dello ius superveniens rappresentato dalle citate
 disposizioni del d.lgs. n. 389 del 1997.
   Ritiene  questa  Corte di appello che la recente modifica dell'art.
 52 decreto legislativo n. 22 del 1997, introdotta dall'art. 7,  commi
 12  e  13  del  d.lgs.  8 novembre 1997, n. 389, non abbia spostato i
 termini della questione di costituzionalita', per il  fatto  concreto
 che qui interessa - consumato nell'aprile 96.
   A parte la considerazione che il decreto legislativo n. 389/1997 ha
 operato solamente qualche riduzione delle sanzioni amministrative per
 ipotesi  particolari,  va  osservato  che la sanzione penale potrebbe
 colpire il fatto storico imputato al Giua Pietro  Paolo  (costituente
 reato  - si sottolinea - al momento della sua consumazione) solamente
 in forza di dichiarazione  di  incostituzionalita'  della  successiva
 abolitio criminis, per ragioni sostanziali o formali.
   Ad  avviso  di  questa  Corte di appello, non appare manifestamente
 infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 52, commi  1  e
 2,  del  d.lgs. n. 22 del 5 febbario 1997 (come modificato dal d.lgs.
 8 novembre 1997, n. 389), per contrasto con gli articoli 76, 77, 10 e
 11 della  Carta  costituzionale  italiana,  secondo  le  osservazioni
 avanzate dall'appellante che qui si riportano, per la parte condivisa
 da questa Corte.
   1. - I principi della legge delega per la scelta delle sanzioni.
   Il d.lgs. in esame e' stato emanato dal Governo come legge delegata
 (per  l'attuazione  di  direttive comunitarie), e, pertanto, non puo'
 contenere norme in contrasto con i principi dettati  dal  Parlamento,
 cosi' come sancito dagli articoli 76 e 77 della Costituzione.
   In   questo  quadro,  e'  doveroso  verificare  preliminarmente  la
 conformita' delle sanzioni amministrative citate rispetto al  dettami
 della  legge  delega  e  cioe'  della  legge 22 febbraio 1994, n. 146
 (legge comunitaria 1993), il cui art.  1  conferisce  al  Governo  la
 delega  per  l'attuazione di numerose direttive, tra cui la n. 91/156
 (CEE e 91/689 CEE, relative, appunto, ai rifiuti.
   L'art. 2, lett. d) di questa legge stabilisce, infatti, che  "salva
 l'applicazione   delle  norme  penali  vigenti,  ove  necessario  per
 assicurare l'osservanza  delle  disposizioni  contenute  nei  decreti
 legislativi, saranno previste sanzioni amministrative e penali per le
 infrazioni  alle disposizioni dei decreti stessi. Le sanzioni penali,
 nei  limiti,  rispettivamente,  dell'ammenda  fino  a  lire  duecento
 milioni  e  dell'arresto  fino  a  tre  anni, saranno previste in via
 alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano  o
 espongano  a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del
 tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge  24  novembre
 1981, n. 689.
   In  tali  casi  saranno  previste: la pena dell'ammenda alternativa
 all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo  o  danneggino
 l'interesse   protetto;  la  pena  dell'arresto  congiunta  a  quella
 dell'ammenda per le infrazioni che recano  un  danno  di  particolare
 gravita'.  La  sanzione  amministrativa del pagamento di un somma non
 inferiore a lire  cinquantamila  e  non  superiore  a  lire  duecento
 milioni  sara'  prevista  per  le infrazioni che ledano o espongano a
 pericolo interessi diversi da quelli suindicati.
   Nell'ambito  dei  limiti  minimi  e  massimi  previsti, le sanzioni
 suindicate saranno determinate nella loro entita' tenendo conto della
 diversa potenzialita' lesiva  dell'interesse  protetto  che  ciascuna
 infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del
 colpevole,  comprese  quelle  che  impongono  particolari  doveri  di
 provenienza,   controllo   o   vigilanza,   nonche'   del   vantaggio
 patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole o alla persona
 o  ente  nel  cui  interesse  egli agisce. In ogni caso, in deroga ai
 limiti sopra  indicati,  per  le  infrazioni  alle  disposizioni  dei
 decreti legislativi saranno previste sanzioni penali o amministrative
 identiche  a  quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi vigenti
 per violazioni che siano omogenee e  di  pari  offensivita'  rispetto
 alle infrazioni medesime".
   Vale  la  pena,  a questo punto, di rilevare subito che, quindi, la
 legge delega, delineando il quadro delle sanzioni  (amministrative  e
 contravvenzionali)  da  irrogare  per  garantire  il  rispetto  delle
 prescrizioni comunitarie, mentre privilegia, di regola,  le  sanzioni
 amministrative,  indica  espressamente,  come  eccezione,  il settore
 della tutela dell'ambiente.
   Infatti, essa, come si e'  detto,  prevede  espressamente  sanzioni
 solo  penali  nei  casi  in  cui  le  infrazioni ledano o espongano a
 pericolo interessi generali  dell'ordinamento  interno  del  tipo  di
 quelli  tutelati  dall'art.  34,  legge  n. 689 del 1981, fra i quali
 rientra  certamente  l'interesse  alla  tutela  dell'ambiente.  Basta
 leggere, infatti, il citato art. 34 (lett. g ed h) per verificare che
 esso  esclude  dalla  depenalizzazione,  tra  l'altro,  le violazioni
 (tutte, incluse quelle c.d. "formali") della  legge  Merli  e  quelle
 (tutte, incluse quelle c.d. "formali") della legge antismog (non sono
 menzionate  le leggi sui rifiuti perche' nel 1981 non ne esistevano):
 segno evidente che la tutela dell'ambiente e' un  interesse  generale
 dell'ordinamento  interno, il quale, secondo il legislatore, non puo'
 essere presidiato solo con sanzioni amministrative.
   Se, alla luce  di  queste  considerazioni,  si  rilegge  il  quadro
 sanzionatorio  che emerge dal decreto, appare subito evidente che non
 si e' sempre tenuto conto dei principi delineati dalla legge  delega.
 Cio'  e' particolarmente evidente nell'art. 52 che, come si e' detto,
 commina sanzioni solo amministrative per la violazione degli obblighi
 di comunicazione annuale e di tenuta dei registri di carico e scarico
 dei rifiuti, anche se pericolosi.
   Trattasi, infatti, in primo luogo, di violazioni di  norme  tese  a
 tutelare  l'ambiente  e  cioe'  quell'interesse generale che la legge
 delega ritiene debba essere presidiato  con  sanzioni  penali  e  non
 amministrative.  Peraltro, la formulazione stessa del citato art.  2,
 lett. d), con la focalizzazione  sugli  "interessi  generali",  quali
 quello  alla  tutela  dell'ambiente  (contrapposti, come eccezione, a
 tutti gli altri), e con il richiamo proprio alle norme escluse  -  in
 blocco  e  senza  distinzione,  in quanto relative all'interesse alla
 tutela ambientale - dalla depenalizzazione  nel  1981,  sembra  voler
 escludere,   comunque,   qualsiasi  possibilita'  di  irrogazione  di
 sanzioni  amministrative  nel  recepimento  delle  prescrizioni   che
 garantiscono la tutela dell'ambiente, quali sono quelle in esame.
   Anzi,   se   si  vuole  restare  al  dato  letterale,  la  sanzione
 amministrativa e' prevista solo  per  "le  infrazioni  che  ledano  o
 espongono  a  pericolo  interessi  diversi"  da  quello  della tutela
 dell'ambiente; per cui, nel caso in  esame,  la  scelta  di  sanzione
 amministrativa  sarebbe  consentita  solo  se  si  ritenesse  che  le
 violazioni relative all'obbligo di comunicazione annuale e tenuta  di
 registro  di  carico  e  scarico  dei  rifiuti  "ledano o espongano a
 pericolo" interessi diversi da quello della tutela dell'ambiente.
   In questo quadro, quindi, la direzione - "infrazioni che  espongano
 a  pericolo  o danneggino l'interesse protetto" - non sembra assumere
 alcun significato particolare  o  limitativo,  essendo,  oltre  tutto
 pacifico  che,  pur  senza  voler  addentrarsi in dissertazioni sulla
 struttura del  reato  e  sul  bene  giuridico,  la  violazione  delle
 prescrizioni  tese  alla  tutela  dell'ambiente  dai rifiuti comporta
 sempre, direttamente o indirettamente, una lesione  o  una  messa  in
 pericolo  del  bene  protetto  (tanto  piu'  nel  caso concreto di un
 esercizio di  cantiere  e  rimessaggio  nautico  che  produce  grandi
 quantitativi di olio minerale esausto).
   E' tuttavia, altrettanto evidente che il legislatore (delegato) del
 d.lgs.  n.  22  ha  voluto intendere invece questa indicazione non in
 senso cosi' rigido e  generalizzato,  ed  ha  preferito,  di  regola,
 interpretarla  nel  senso  di  riservare le sanzioni penali solo alle
 violazioni che  riteneva  comunque  "piu'  gravi"  e  pericolose  per
 l'ambiente;  e,  nel  compiere  questa valutazione, ha considerato un
 complesso  di  vari  elementi,   fra   cui   spiccano,   oltre   alla
 pericolosita'  "diretta"  della  condotta,  altri elementi, quali, ad
 esempio, la natura  dell'attivita'  svolta  ed  il  tipo  di  rifiuti
 prodotti.  Tanto  e'  vero che, ad esempio, l'abbandono o il deposito
 incontrollato di rifiuti -  violazione  che  non  e'  certamente  una
 violazione  formale  ma  una "aggressione diretta" - viene punito con
 sanzione amministrativa ai sensi degli articoli 14 e 50, comma 1,  se
 commesso  da  privato,  e  con  sanzione  penale  solo se commesso da
 titolare di impresa o ente  (art.  51,  comma  2).  Mentre  tutte  le
 violazioni,  certamente  "formali", connesse con l'inosservanza delle
 procedure (anche semplificate) per  autorizzazione  o  iscrizione  da
 parte  delle  imprese che compiono attivita' di gestione dei rifiuti,
 sono sempre penalmente sanzionate dall'art. 51, commi 1  e  2  (anzi,
 "se  si  tratta  di  rifiuti  pericolosi",  addirittura  con  la pena
 congiunta che la legge delega riserva alle "infrazioni che recano  un
 danno di particolare gravita'").
   Cosi'  come,  nel  caso,  del  tutto omogeneo a quello in esame, di
 violazioni relative al  formulario  di  trasporto  di  rifiuti  -  e,
 quindi, come quelle attinenti al registro di carico e scarico ed alla
 comunicazione  annuale,  certamente  non  direttamente aggressive del
 bene protetto, l'art. 52, comma 3 del d.lgs. n. 22  prevede  sanzioni
 amministrative,  se  il  trasporto  riguarda  rifiuti  pericolosi, fa
 espressamente eccezione e richiama - diversamente da  quanto  avviene
 per  i registri di carico e scarico - addirittura le pene del delitto
 di cui all'art. 483 c.p.
   Peraltro, sembra determinante notare che l'art.  52,  comma  4,  si
 preoccupa   di  prevedere  una  autonoma  (e  piu'  blanda)  sanzione
 amministrativa nel caso che le violazioni agli obblighi relativi  sia
 ai  registri  di  carico e scarico sia ai formulari per il trasporto,
 anche se relative a rifiuti pericolosi, siano solo formali (art.  52,
 comma  4:  "se  le indicazioni di cui ai commi 2 e 3 sono formalmente
 incomplete o inesatte ma contengano tutti gli elementi indispensabili
 per ricostruire le informazioni dovute per legge..."). Il che porta a
 ritenere che l'art.  52, commi 2 e 3, rispettivamente con riferimento
 agli  obblighi  del registro di carico e scarico e del formulario per
 il trasporto, indichi la sanzione per le altre violazioni,  ritenute,
 evidentemente, non meramente formali, e piu' gravi.
   Tanto   piu'   che  contemporaneamente,  nella  stessa  ottica,  il
 legislatore esonera totalmente  dagli  obblighi  della  comunicazione
 annuale  e  dei  registri  di  carico  e  scarico, limitatamente alla
 produzione  di  rifiuti  non  pericolosi,  i   piccoli   imprenditori
 artigiani  che  non hanno piu' di tre dipendenti (art. 11, comma ''),
 ritenendo, con ogni evidenza, che si tratta di modeste  attivita'  le
 quali, qualora non producano rifiuti pericolosi, non costituiscono un
 apprezzabile pericolo per l'interesse tutelato.
   In  questo  quadro, allora, se anche si vuole usare lo stesso metro
 del  legislatore  delegato,  appare  del  tutto  incomprensibile   la
 previsione  di sanzioni solo amministrative (anche se piu' pesanti se
 vi sono rifiuti pericolosi) per tutte  le  violazioni  relative  alla
 comunicazione  annuale  ed  al  registro di carico e scarico (che non
 rientrino, ovviamente, nell'ambito dell'art. 52, comma 4), escludendo
 - a differenza di quanto avviene per il  formulario  di  trasporto  -
 qualsiasi sanzione penale.
   Resta  da  sottolineare - e non sembra irrilevante sotto il profilo
 sostanziale -  che  le  violazioni  in  esame  comprendono  anche  la
 falsita' delle registrazioni del registro di carico e scarico e cioe'
 quelle  violazioni  che molto spesso, come insegna l'esperienza degli
 ultimi 15 anni, sono i primi elementi da cui iniziare le indagini per
 reprimere la ecomafia dei rifiuti, da cui  derivano,  in  concreto  e
 direttamente,   danni   incalcolabili   all'ambiente  e  alla  salute
 pubblica.
   In altri termini, gli obblighi relativi alla comunicazione  annuale
 ed  al registro di carico e scarico sono certamente, sotto il profilo
 sostanziale, obblighi il cui rispetto e'  indispensabile  per  tenere
 sotto controllo tutto il settore della produzione e dello smaltimento
 dei  rifiuti,  troppo  spesso  in mano alla criminalita' organizzata:
 chiunque abbia fatto indagini in questo settore sa perfettamente  che
 il primo controllo riguarda la veridicita' e la completezza di quanto
 dichiarato  nelle comunicazioni annuali, nei registri e nei formulari
 di trasporto.
   Depenalizzare questi obblighi, pertanto, equivale ad escludere,  di
 norma,   la  competenza  della  polizia  giudiziaria,  e  quindi,  in
 sostanza, a depotenziare la possibilita' (gia' minima) di  effettuare
 questi  controlli (adesso, peraltro, affidati, ai sensi dell'art. 20,
 comma 1, lettera c) e 55, comma 1, d.lgs n. 22, alle province,  senza
 fornir  loro  alcun  potenziamento  di  uomini  e  mezzi,  gia'  oggi
 largamente  insufficienti),  esponendo   concretamente   a   pericolo
 l'interesse  generale  alla  tutela dell'ambiente. Il che, del resto,
 risulta  chiarissimo  da  altre  disposizioni  dello  stesso  decreto
 legislativo  che  considerano  giustamente  fondamentali  i controlli
 sulla "vita" dei rifiuti, ("dalla culla alla tomba",  come  prescrive
 l'Unione   europea),   onde   non  mettere  in  pericolo  il  diritto
 all'ambiente.
   Basta  ricordare  che, in perfetta sintonia rispetto alle direttive
 comunitarie, il d.lgs. n. 22  dispone  che  occorre  "assicurare  una
 elevata  protezione dell'ambiente e controlli efficaci, tenendo conto
 della specificita' dei rifiuti pericolosi"  (art.  2);  ed  aggiunge,
 ancora  piu'  significativamente,  che  le  Province "sottopongono ad
 adeguati controlli  periodici  gli  stabilimenti  e  le  imprese  che
 smaltiscono   o   recuperano  rifiuti,  curando,  in  particolare,  i
 controlli sulle attivita' sottoposte alle procedure semplificate... e
 che i controlli concernenti la raccolta ed il  trasporto  di  rifiuti
 pericolosi  riguardano,  in  primo luogo, l'origine e la destinazione
 dei rifiuti" (art. 20, comma 6).  Controlli  che,  come  gia'  si  e'
 osservato,  si  basano,  appunto  sugli strumenti della comunicazione
 annuale, del registro di carico e scarico e  del  formulario  per  il
 trasporto.
   2.  -  I  principi  delle  legge  delega  per  la omogeneita' delle
 sanzioni.
   In secondo luogo, la  legge  delega  aggiunge  a  questo  principio
 generale  due  riserve  di  notevole importanza. Da un lato fa "salva
 l'applicazione delle norme  penali  vigenti",  e  dall'altro  impone,
 anche  "in  deroga  ai limiti sopra indicati", di "prevedere sanzioni
 penali  o  amministrative  identiche  a  quelle  eventualmente   gia'
 comminate  dalle leggi vigenti per violazioni che siano omogenee e di
 pari offensivita' rispetto alle infrazioni  medesime".  Per  cui,  in
 questi  casi,  a  meno  di  non  voler  ridurre,  sulla  base  di una
 argomentazione solo letterale  ("in  deroga  ai  limiti..."),  ed  in
 contrasto  con l'evidentissimo tenore logico complessivo della norma,
 questo principio al solo computo delle pene svincolato  dalla  natura
 delle  pene stesse (criterio che, ovviamente, precede la misura delle
 sanzioni), si impone l'obbligo di preferire sanzioni  anche  diverse,
 come natura e come limiti, da quelle previste nella legge delega.
   A  proposito  di  questo  secondo  criterio, deve rilevarsi che, in
 assenza di una legge quadro sull'ambiente, si e'  determinato,  negli
 ultimi  anni,  un  orientamento  non omogeneo del legislatore proprio
 nella previsione di sanzioni in questo settore, tanto  che  e'  stato
 piu'  volte  invocato  e  si e' reso talvolta necessario l'intervento
 della Corte costituzionale.
   Di certo, l'esempio piu' evidente di  rottura  con  il  passato  e'
 costituito  dalla  recente  legge  n. 172 del 1995, di modifica della
 legge Merli, in cui una  parte  delle  "vecchie"  sanzioni  e'  stata
 depenalizzata  proprio  in  un settore - l'inquinamento delle acque -
 che si puo' certamente definire  "omogeneo"  a  quello  in  esame.  E
 allora  giova  ricordare  che  questa  legge  si ispira, comunque, al
 principio di mantenere le sanzioni penali (contravvenzionali) per  le
 violazioni  (anche  quelle c.d. "formali") commesse nell'esercizio di
 attivita' produttive, ritenute, evidentemente, le piu' pericolose per
 l'ambiente. E cio' e' avvenuto con riferimento a tutte le  violazioni
 collegate  all'esercizio  di attivita' produttive, anche se meramente
 "formali", quali la violazione dell'obbligo di presentare la  domanda
 di  autorizzazione  allo  scarico (cui puo' conseguire autorizzazione
 tacita se  si  tratta  di  scarichi  esistenti),  tuttora  penalmente
 sanzionata  con  arresto  o  ammenda dall'art.   21 della legge Merli
 modificata.
   E pertanto, anche  in  virtu'  del  principio  di  omogeneita'  tra
 sanzioni  imposto  dalla  legge  delega  per  le violazioni in esame,
 certamente  relative  ad  attivita'  produttive,  si  sarebbe  dovuto
 prevedere   sanzione   penale  di  tipo  contravvenzionale  con  pena
 alternativa.
   Si  deve,  infine,  rilevare  che  anche nella determinazione delle
 sanzioni e' necessario, come prescrive  la  legge  delega  (art.  36,
 lett.  b),  garantire  il  "mantenimento  dei  livelli  di protezione
 ambientale  previsti  dalla   normativa   nazionale...",   dato   che
 certamente  il  sistema sanzionatorio contribuisce al mantenimento di
 questi livelli. Il che deve portare alla conseguenza  di  considerare
 con  la massima cautela ogni ammorbidimento del sistema sanzionatorio
 fino ad oggi in vigore in questa materia,  caratterizzato  certamente
 dalla assoluta prevalenza di sanzioni penali.
   3. - Il contrasto con la normativa comunitaria.
   Devesi, infine, rilevare che la scelta della sanzione penale per le
 violazioni  sembra  da privilegiare anche per rispetto degli obblighi
 assunti dal nostro paese verso la Unione  europea.  Infatti,  proprio
 recentemente  e  proprio  in  relazione  alle sanzioni previste dalla
 normativa italiana sui rifiuti, la  Corte  europea  di  giustizia  ha
 ricordato  che  "gli  Stati  membri  sono  tenuti,  nell'ambito della
 liberta' che viene loro lasciata  dall'art.  189,  terzo  comma,  del
 Trattato,  a  scegliere  le  forme  e  i mezzi piu' idonei al fine di
 garantire l'efficacia pratica delle direttive"; ed ha  previsato  che
 "l'art.  5 del Trattato impone agli Stati membri di adottare tutte le
 misure  atte  a  garantire  la  portata  e  l'efficacia  del  diritto
 comunitario.
   A  tal  fine,  ...,  essi  devono  vegliare a che le violazioni del
 diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale  e
 procedurale,  in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni
 del diritto interno, simili per natura ed importanza e che,  in  ogni
 caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettivita',
 di   proporzionalita'   e   di  capacita'  dissuasiva..."  (Corte  di
 giustizia, sez. I, 12 settembre 1996, Gallotti ed altri).
   Ne consegue che, alla stregua  delle  considerazioni  gia'  svolte,
 aver   previsto   solo  sanzioni  amministrative  per  la  violazione
 dell'obbligo  comunitario  del  registro  di  carico  e  scarico  dei
 rifiuti,  anche  se  pericolosi  (imposto dall'art. 14, dir. 91/156 e
 dall'art. 4, dir.  91/689), puo' far ritenere che il nostro paese sia
 venuto   meno   agli   obblighi   che   derivano   all'Italia   dalla
 partecipazione  alla Unione europea, con violazione degli articoli 10
 e 11 della Costituzione.
   Un  cenno,  infine,  merita  la  problematica   connessa   con   la
 giurisprudenza   costituzionale   relativa   alla  impossibilita'  di
 richiedere alla Corte una pronuncia additiva. A questo proposito,  si
 osserva  in  primo  luogo  che  questa giurisprudenza si riferisce ad
 eccezioni dove il giudice a quo chiedeva di censurare la  scelta  del
 legislatore  per  sanzioni amministrative, invocando il contrasto con
 il principio ed eguaglianza sancito dall'art. 3  della  Costituzione;
 il  che  e'  stato  inteso  dalla Corte come una richiesta alla Corte
 stessa di imporre sanzioni penali, sostituendosi al legislatore.
   Nel caso  in  esame  la  situazione  e'  esattamente  opposta:  con
 riferimento  agli  articoli  76 e 77, si chiede, cioe', alla Corte di
 esaminare se l'organo delegato (il governo) ha rispettato  la  scelta
 del  legislatore,  imposta  con  legge  delega, circa la natura delle
 sanzioni da comminare:  non sostituzione al legislatore,  quindi,  ma
 applicazione di quanto dallo stesso stabilito.
   Ed   e'  appena  il  caso  di  aggiungere  che,  se  si  ragionasse
 diversamente, pur prescindendo dal caso in esame, non si potrebbe mai
 portare all'esame della Corte alcun dubbio relativo  alla  osservanza
 di  quanto  disposto  da  una  legge  delega  in tema di sanzioni; in
 contrasto, peraltro, con la stessa giurisprudenza della  Corte  (cfr.
 per  tutte, tra le prime, la sentenza n. 157 del 7 luglio 1976 ove si
 e' censurato un "eccesso di  delega"  proprio  con  riferimento  alla
 scelta   di   sanzioni   per   violazioni   relative   a  regolamenti
 comunitari)".
   Alle considerazioni avanzate dal p.m. appellante in ordine a questo
 ultimo punto, il collegio di  appello  ritiene  di  dover  aggiungere
 anche  l'osservazione che l'imputazione ascritta a Giua Pietro Paolo,
 per cui vi e' appello, riguarda un  fatto  storico  consumato  il  29
 aprile  1996,  in  epoca  nella quale vigeva la sanzione propriamente
 penale, prevista dall'art. 9-octies u.c., legge 9 settembre 1988,  n.
 475.
   Di  conseguenza, non sembra che una dichiarazione di illegittimita'
 costituzionale, nel caso concreto, non  sia  rilevante  o  non  possa
 conseguire  perche'  contraria al principio di irretroattivita' della
 legge penale, o comunque  alle  regole  contenute  nell'art.  2  cod.
 penale.